Next Game:

RUBRICA: IL CHIRINGUITO DELLA ISLA FELIZ - SETTIMANA 7

Rubriche e approfondimenti
Mar 04, 2019

Pochi giorni fa, Il BCR ha organizzato un evento dal significato simbolico estremamente importante: una merenda (offerta dal nostro partner Deco Industrie) per tutti i ragazzi delle giovanili, mezz’ora prima della partita della prima squadra.

“Più sport, meno videogiochi”, questo il titolo dell’evento.

L’intento era quello di sensibilizzare i ragazzini ed i genitori su un tema molto discusso in questi anni, su cui è spesso difficile trovare un accordo, ma che negli ultimi mesi è tornato alla ribalta con la pubblicazione di alcuni dati prodotti dalle ricerche scientifiche.
L’utilizzo del tablet o di altri strumenti tecnologici fin dalla primissima infanzia ha un effetto negativo sullo sviluppo emotivo e cognitivo del bambino. Allo stesso modo, l'aumento delle ore trascorse davanti al televisore riduce lo sviluppo delle competenze linguistiche e sociali.
Il ricorso intensivo a questi strumenti sostituisce la quantità di tempo trascorsa a impegnarsi in un'interazione diretta con esseri umani.
Se questi dispositivi diventano il metodo predominante per calmare e distrarre i bambini, questi saranno poi in grado di sviluppare i loro meccanismi interni di auto-regolazione?
Senza considerare poi i danni fisici legati a un uso a lungo termine di tablet e smartphone, problemi alle articolazioni e affaticamento degli occhi in primo luogo.
Nessuno nega le potenzialità didattiche di questi strumenti, ma occorre utilizzarli nella modalità corretta, adeguata all’età del bambino e sotto la supervisione dell’adulto.
Oggi, invece, il tablet viene dato al bimbo quasi neonato per distrarlo dai suoi “capricci”. I genitori vanno a pranzo fuori e a tavola, per intrattenere il bimbo che si annoia, gli viene dato uno smartphone.
Per gestire una crisi di pianto, si utilizza uno strumento tecnologico che calma immediatamente il bambino…..ma non l’aiuta a comprendere e gestire le proprie emozioni, non lo aiuta a calmarsi realmente, a prendere contatto con se stesso ed il suo mondo emotivo. A conoscere la frustrazione e ad apprendere l’abilità di gestirla e regolarla. Passaggi fondamentali per la costruzione di un mondo interno regolato da equilibri che, in gran parte, dobbiamo saper ritrovare noi stessi dentro di noi, nel corso di tutta la nostra vita.
Questo utilizzo precoce della tecnologia si ripercuote, pertanto, nei successivi anni di sviluppo e diventa sempre più una “dipendenza” da videogiochi, perché il ragazzino cresciuto senza la capacità di confrontarsi con se stesso e con gli altri, tenderà ovviamente ad evitare il più possibile il contatto, la vicinanza e la messa in gioco di sé nei vari contesti…soprattutto quello sportivo, che non è obbligatorio come la scuola e quindi facilmente evitabile.
Molto più facile sfidare gli amici attraverso dei personaggi virtuali, il cui fallimento non è il proprio fallimento, quindi si può archiviare tranquillamente in un cassetto e non aprirlo più. Molto diverso è perdere una sfida con se stesso durante una gara sportiva, che comporta delusione, dispiacere, ma fornisce anche lo stimolo per accrescersi, per migliorarsi, per dare sempre il massimo ogni volta. Ma occorre avere una base emotiva forte e competente per vivere un’esperienza di sconfitta come un’occasione di riscossa….e nella grande maggioranza dei casi, non è così.
Fa tutto parte di un nuovo modo di educare, di cui abbiamo in parte già parlato nei precedenti articoli. Valori cambiati, tempi cambiati, disponibilità emotiva dei genitori differente….tutto si collega e ci porta al quadro adolescenziale di oggi.
Ragazzini che non giocano più insieme nel campetto del paese o nei cortili delle case, ma si chiudono nelle proprie stanze con i videogiochi e la tv.
Ragazzini fragili, apparentemente fortissimi, che si atteggiano a bulletti, ma nascondono personalità di cristallo pronte a sbriciolarsi al primo “no” o alla prima caduta.
Manca rigore, manca fermezza, manca presenza fisica di adulti che gli forniscano basi e percorsi sicuri dentro cui muovere i loro passi. Inciampando, cadendo, sbucciandosi le ginocchia. Ma rialzandosi e guarendo le proprie ferite, pronti a riprendere il cammino.
E lo sport, in questo senso, è una delle palestre di vita più importanti.

Come ha riportato Sergio Chiaravalli uno dei nostri allenatori sul gruppo Facebook delle Squadre Giovanili…:

#SPORT
...scegliere di far praticare uno sport agonistico ai vostri propri figli è una delle decisioni più altruistiche e masochistiche che un genitore può compiere.
Dovrete portarlo ad allenamento, a tutte le ore, nei giorni di festa e rientrando prima dalle vacanze. Dovrete spendere soldi, e spenderne ancora e ancora, per cose che sembrano del tutto futili. Dovrete portarlo in trasferta, aspettare ore guardando uno sport che magari non vi piace. Dovrete vederlo stanco, che non ce la fa più, che non riesce a gestire compiti, catechismo, amici e sport. Dovrete vederlo piangere perché è stanco, piangere perché perde, piangere perché l'insegnante non è soddisfatto, piangere perché il sabato sera i suoi amici escono e lui si prepara per l'allenamento dell'indomani. Dovrete vederlo "sbagliare" perché metterà lo sport prima di tutto il resto, perché sceglierà di mollare la fidanzata "perfetta" per voi perché lei non lo supporta, prenderà 108 invece che 110 all'università. E quando andrà fuori di casa i weekend, invece che trascorrerli con voi, li trascorrerà con i suoi compagni di squadra in palestra. E dovrete litigare. Ma ormai è nel tunnel dello sport agonistico. Ormai ha perso di vista le priorità secondo voi.
Anche secondo me.
Ma provate a vedere se il sorriso del suo amichetto terminata una partita alla play è lo stesso di quando un atleta termina un allenamento.
Provate a vedere se le amicizie che si legano in gelateria sono sincere tanto quanto quelle legate in spogliatoio.
Provate a vedere se a 50 anni si ricorderanno il nome della maestra di catechismo (...senza nulla togliere….) o della loro prima insegnante di qualche sport.
Provate a chiedere se è meglio perdere una gara o non parteciparvi.
Provate a guardare le analisi del sangue di uno sportivo agonista e di un bambino che non esce di casa… vedrete che il cortisolo non fa poi così male!
Ricordatevi che un atleta si ricorda SEMPRE se a bordo campo, ad aspettarlo dopo aver perso l'ennesima gara, c'è la sua mamma e il suo papà.
Ricordatevi che un atleta, per quanto piccolo, è cosciente degli sforzi che vengono fatti dai genitori, dagli amici, dagli allenatori, dai dirigenti.
Ricordatevi che piangerà quando non riuscirà a finire di studiare per il giorno dopo in 4° elementare ma che tutto ciò lo aiuterà a organizzarsi e finire l'università prima di chi durante il giorno non fa altro che guardare il pc.
Ma soprattutto ricordate che state dando a vostro figlio la possibilità di provare una gamma di emozioni che altrimenti non potrebbe neppure immaginare. Chiedi di spiegare cosa vuol dire essere emozionati, felici, impauriti, determinati, delusi, riconoscenti, soddisfatti, te lo saprà dire.
Chiedi se per la delusione di un allenamento andato male vale la pena di mollare lo sport o è il pretesto per tornare il prima possibile in palestra e provarci ancora, e ancora, e ancora. Finchè la delusione diverrà soddisfazione.
Marco Malavasi
All.re di Pallacanestro



Dott.ssa Serena Brunelli



I nostri Sponsor

© Copyright Basket Club Russi 2015  |  Credits | Privacy Policy | Trasparenza Contributi Pubblici