Se è vero che lo Sport è maestro di vita, dobbiamo essere consapevoli del ruolo fondamentale che riveste l’allenatore nel mondo educativo ed evolutivo dei nostri ragazzi.
Spesso si pensa che le caratteristiche presenti nella relazione tra un coach ed i giocatori siano sostanzialmente analoghe a quelle di qualsiasi altra situazione di scambio interpersonale fra un adulto ed un bambino; in realtà non è proprio così, perché ci sono alcune peculiarità che la rendono più complessa.
Ovviamente si tratta di una relazione asimmetrica, fondata cioè su una differenza di ruolo.
Per definizione, all’allenatore spettano le competenze di tecnico, il compito più ovvio ed immediato, che, tuttavia, non consiste esclusivamente nel trasmettere informazioni su gesti sportivi specifici, ma passa attraverso le competenze ed esperienze personali, per preparare un programma di allenamento e le strategie di gioco in vista delle gare. Perché la trasmissione di informazioni sia efficace, però, occorre che essa sia veicolata da una relazione considerata “significativa”, che acquisti, cioè, spessore ed importanza e che si fondi sulla passione comune che lega i due soggetti allo sport che stanno praticando.
Altro ruolo fondamentale dell’allenatore è quello di educatore. L’allenatore insegna, corregge, aiuta lo sviluppo dell’intelligenza senso-motoria…Ma insegna anche rispetto, regole e valore dello sport, educando a stare in gruppo. Tutto questo influenza e struttura la personalità, l’autostima, le abilità sociali dei bambini e dei ragazzi, giocando un ruolo cruciale per la loro crescita ed il loro sviluppo. Occorre che egli sia ben consapevole che, attraverso lo sport, vengono acquisite “competenze di vita”, cioè abilità cognitive, emotive e relazionali di base, che permettono alle persone di “muoversi” efficacemente sul piano individuale e sociale: la capacità di riconoscere e controllare le proprie emozioni, la capacità di dichiarare il proprio stato d’animo, di accettare le critiche senza arrabbiarsi...etc.
L’allenatore è anche un leader - dall’inglese “to lead”, cioè condurre, guidare, portare al raggiungimento degli obiettivi prefissati. E’ saper formare un team vincente, non nel senso di “imbattibile in campo” ma nel senso più complesso di “coeso, con gli stessi obiettivi ed ideali”. E’ conoscere i propri atleti, nei loro punti di forza e di debolezza, per poter incanalare le qualità di ognuno al servizio del gruppo. L’allenatore deve prima di tutto conoscere se stesso, le proprie capacità, i propri obiettivi per poi trasmetterli ai propri atleti. Sono aspetti psicologici delicati ed importanti, su cui molto incide la capacità empatica dell’adulto che, con il suo esempio molto più che con le parole, gioca un ruolo importantissimo agli occhi dei ragazzini. Mantenere la leadership è tutt’altro che semplice e non è affatto scontato che, una volta conquistata, essa sia garantita a vita. Il giocatore accetta di assoggettarsi alla guida del tecnico, almeno inizialmente, ma in cambio chiede di avere un chiaro quadro di riferimento, che gli consenta di capire quale spazio occupi nell’universo mentale del proprio coach. Il giocatore ha bisogno di capire, qualora non sia abbastanza esplicito dalle parole o dai comportamenti dell’allenatore, quale sia (e quanto sia) la considerazione di cui gode ai suoi occhi, per potersi costruire una sorta di bussola mentale, per orientare meglio i suoi comportamenti e mantenere elevata la propria motivazione, il senso del proprio valore, l’appartenenza al gruppo squadra, la spinta a migliorare costantemente.
C’è, poi, il ruolo di organizzatore ed animatore, che è la capacità di “fare squadra”, non solo pianificando le attività, ma anche promuovendo il benessere più ampio del gruppo sportivo, conoscendo la vita dei propri atleti, i loro interessi ed inclinazioni, le loro caratteristiche personali, favorendo amicizie anche fuori dal campo. Si tratta anche di mediare i conflitti e le tensioni, dimostrando di avere capacità di valutazione e decisione, nell’ambito della responsabilità di una intera squadra.
Il coach, nei suoi molteplici ruoli di guida, insegnante, leader ed organizzatore ha molto potere di influenza sugli atleti, che, in maniera complementare, devono mostrarsi disponibili a farsi guidare, ad apprendere e a condividere metodi e decisioni per favorire la coesione, la cooperazione ed il raggiungimento degli obiettivi di squadra prefissati.
Spesso l’allenatore sottovaluta o non è consapevole di questi poteri di influenza, ma è bene che li tenga sempre presenti, per modulare i suoi comportamenti (verbali e non verbali):
• potere di orientamento
• potere di competenza
• potere di giudizio
• potere di ricompensa
• potere di deprivazione/frustrazione
• potere d’esempio
La qualità della comunicazione e del dialogo sono cruciali; alla base deve esserci sempre onestà, franchezza, correttezza. Occorre sempre tenere in mente che la vera leadership si conquista con fiducia e rispetto e che dall’altra parte ci sono prima di tutto persone, spesso molto giovani, su cui la capacità di influenza (positiva e negativa) è altissima.
Un ultimo aspetto vale la pena sottolineare: bisogna essere capaci di fare tutto quanto è stato scritto sopra. Ma bisogna anche essere capaci di mantenere un certo distacco, stare attenti a sviluppare un buon attaccamento coi ragazzini, ma che non diventi una forma di dipendenza, che in età adolescenziale rischia di frenare l’autonomia e lo sviluppo della propria capacità critica.
L’istruttore deve coinvolgere, entusiasmare, divertire, insegnare ma senza mai mettersi in primo piano.
Deve sapere di essere un “tramite” che accompagna il giovane atleta ad iniziare ad assumersi le responsabilità delle proprie scelte, acquisendo sempre maggiore autonomia e fiducia in se stesso.
Deve saper ascoltare il “detto” e (soprattutto!!) il “non-detto” dei bambini, saper leggere i loro silenzi ed entusiasmi, le loro aspettative, le loro aspirazioni, mettendosi di lato, cercando di proporre il suo punto di vista ma sempre seguendo i ritmi individuali di ciascun ragazzo.
E forse, più di tutto, deve aiutare il ragazzino a ricordarsi che gli insuccessi sono momenti necessari per crescere come atleta “a tutto tondo”, come persone, tenendo sempre in mente che lui “non è l’errore che commette”, ma è fatto di molto, molto altro.
Dott.ssa Serena Brunelli